Michele Mirabella (conduttore tv e attore)
Roma 24.4.2020
Intervista di Gianfranco Gramola
Michele Mirabella, un Signor
conduttore
“Il
segreto del mio successo? Forse la preparazione, da quello che mi dicono i miei
amici e dalle motivazioni degli innumerevoli premi culturali che ho ricevuto”
Il
volto noto del piccolo schermo Michele Mirabella è nato il 7 luglio del 1943 a
Bitonto. E’ laureato in Lettere e Filosofia con uno studio di regia sul teatro
di Pirandello. E’ regista, autore e attore di teatro, radio, cinema e
televisione, docente, saggista e giornalista. Ha firmato la regia
di oltre cinquanta spettacoli (tra gli autori: Goldoni, Plauto,
Aristofane, Brecht, Shakespeare, Pirandello, ecc …) e ha diretto allestimenti
e recitato in teatri stabili e in numerose compagnie primarie in tutta Italia,
in Europa e negli Stati Uniti. Nella sua attività di regista d’opera
lirica ha inscenato “Traviata”, “Tosca”, “Butterfly”, “La
marescialla d’Ancre”, “L’Elisir d’amore”, “Il Barbiere di
Siviglia“, “Lucia di Lammermoor”, “Il tabarro”, “Cavalleria
rusticana”, “Zanetto”, “Rigoletto” e opere di Strawinsky, Piccinni,
Duni, Nini, Philidor. Ha condotto e presentato numerosi concerti di musica
sinfonica e operistica e concorsi di melodramma in importanti manifestazioni.
Nel
cinema ha recitato in una ventina di film, fra questi
Salvo d'Acquisto (1975) - Tutti
defunti... tranne i morti (1977) - Odio le bionde (1980) – Ricomincio
da tre (1981) - Acqua e sapone (1983)
- Fantozzi subisce ancora (1983)
- Vediamoci chiaro (1984) - Troppo
forte (1986) - Ladri di futuro (1991)
- La cattedra (1991) - Non
chiamarmi Omar (1992).
In
Televisione ha condotto diversi programmi:
L'Italia s'è desta (1987) - Aperto
per ferie (1987-1988) - Il caso
Sanremo (1990) - Venti e venti
(1993-1994) - Uno, due, tre - Vela
d'oro (1993) - Siamo alla frutta
(1994) - Elisir
(1996-2017) - Cominciamo
bene Estate (2004-2010) - Pronto
Elisir ( 2008-2012) - Buongiorno
Elisir (2012-2013) - Tutta
salute (2017-in corso) - Conta su di Noi ( 2019)
Intervista
Lei
ha iniziato con il teatro serio, recitando Brecht, Shakespeare,
Goldoni, vero?
Ho iniziato a farlo con
il centro universitario teatrale di Bari, che diventò un’organizzazione a
livello molto alto. Io amavo il teatro e andavo a teatro. Mio padre e mia madre
mi hanno educato ad andare a teatro sia lirico che di prosa. Io ho cominciato a
fare teatro quando ancora la televisione non esisteva, perché lo facevo da
bambino. Recitavo fiabe, convocavo come pubblico mio fratello, le mie sorelle, i
miei cugini, parenti e servitù perché dovevo esibirmi a tutti i costi. Poi
sapevo leggere molto bene e il maestro di scuola mi prediligeva e stuzzicò la
mia vanità. La mia platea sono stati i miei compagni di scuola. Poi dopo sono
andato all’università e volevo
laurearmi solo per andare all’accademia nazionale d’arte drammatica, poi
alla fine scoprì che c’era il centro dell’università teatrale a Bari, dove
io mi sono laureato in lettere e filosofia e allora ho cominciato a frequentare
il CUT e con il CUT a frequentare il teatro e da lì è partita la mia carriera.
Lei ha lavorato con
moltissimi grandi artisti. Mi viene in mente Ubaldo Lay, il famoso tenente
Sheridan. Un suo ricordo?
Ubaldo Lay era un
adorabile attore. In quel caso fu lui che ha lavorato con me perché ebbi
l’idea di scritturarlo. Da lui ho imparato o meglio ho perfezionato la
moderazione, l’equilibrio, l’uso della pausa. Stiamo parlando di un periodo
in cui io avevo già fatto tanto teatro e i miei grandi maestri sono stati
Franco Enriquez e Giorgio Strehler. Quelli sono stati dal punto di vista
squisitamente teatrale, i miei punti di riferimento. Ma ho lavorato anche con il
grande Mario Scaccia, con Glauco Mauri, con Valeria Moriconi, con Vincenzo De
Toma, con Ettore Conti e tanti altri. Sono innumerevoli i
personaggi con cui ho avuto l’onore di condividere il palcoscenico.
Ricordo anche Gisella Sofio, altra grande attrice con cui ho lavorato e mi sono
trovato molto bene. Poi mi sono invaghito dell’opera lirica e ho diretto una
trentina di opere che vanno dal ‘700 fino al Giacomo Puccini più moderno,
quello del “Tabarro”. Per me è stata una magnifica scoperta e io ne sono
innamorato. E’ un teatro totale il melodramma.
Lei è giornalista,
conduttore, regista, attore. In quali di questi ruoli lei pensa di dare il
meglio?
Credo che in questo
mestiere che poi è un’arte, ma è meglio chiamarlo mestiere, uno deve saperle
fare queste cose. Se sa fare il regista, sa anche concepire una ispirazione per
i suoi discorsi, per quello che deve praticare. Credo che il mio mestiere sia
fare il regista anche quando conduco una trasmissione televisiva o radiofonica,
perché è l’allestimento nella
sua globalità semiotica che ti
consente di esprimere i valori che hai, il talento che hai, se ce gli hai. E io
ho cercato di farlo questo e spero di esserci riuscito con grande umiltà. Per
me un conduttore televisivo che dice solamente “Ecco a voi “ non serve a
niente. Non mi piace la parola presentatore, mi piace di più conduttore. Quando
mi dicono il presentatore Mirabella, rifuggo, il presentatore di che? Quello è
un maggiordomo, non è un’artista. Il conduttore radiotelevisivo ha un altro
respiro e io quello faccio. I presentatori lo fanno altri, con decoro e dignità,
per carità, io rispetto il lavoro di tutti, ma ognuno deve rispettare anche il
lavoro mio.
Io ho avuto il
piacere di incontrarla e conoscere in un mercatino dell’antiquariato nel
centro di Roma. Com’è nata la sua passione per l’antichità?
Più che altro direi
modernariato, come viene chiamato adesso, più che di antiquariato. Mi piacciono
gli oggetti antichi, purché non siano dell’altolocata aristocrazia, dei
mercanti d’arte che non mi piacciono, non frequento e non mi posso permettere
le loro mercanzie, perché costano troppo. Mi piacciono molto i mercatini del
modernariato e dell’antiquariato perché ogni oggetto che lì è esposto,
racconta una storia. Chi ama le anticaglie come me, soprattutto le anticaglie
della propria infanzia o per lo meno di quelle che quando ero io nell’età
dell’infanzia, consideravano vecchie, perché anch’io sono nato dopo la
guerra. La mia infanzia e la mia adolescenza si sono svolte nel boom economico.
Allora i miei genitori, i miei nonni, i miei parenti guardavano a certi oggetti
con arie che noi usiamo guardando un registratore a nastro. E’ obsoleto per
noi, ma sbagliano a considerarlo tale, perché ogni oggetto, ogni scoperta ha
segnato la storia dell’umanità. E io quindi che sono appassionato di storia e
amo i ricordi, le rimembranze, le memorie, francamente mi entusiasma. Colleziono
qualcosa che non ha alcun valore penale, ma un enorme valore di memoria per me.
Ad esempio i 45 giri e ho una biblioteca enorme che viaggia sui 7/8 mila volumi.
Comprende dei libri che probabilmente non riuscirò mai a leggere, ma non
importa, per me sono un affidamento sicuro, un tesoro, un punto fermo e pensi
che li sto catalogando tutti …
Un bel lavoro, 7/8
mila libri.
Sono arrivato a 5300.
Grazie, purtroppo, a questo domicilio obbligatorio, a questa quarantena, riesco
anche a trovare il tempo e sistemare un bel po’ di cose in casa. Mi diverto e
mi piace. Poi ne approfitto perché
trovo dei libri che mi incuriosiscono e li metto da parte. Ho una fortuna, leggo
con una velocità incredibile e adesso ho ripreso a leggere l’Iliade. Ne ho
otto edizioni, ma una l’ho trovata particolarmente interessante, perché
è tradotta in prosa, come un romanzo. Io ricordavo di averlo sfogliato,
ma non di averlo mai letto, è bellissimo.
Da anni conduce il
programma “Elisir”. Ormai è un mezzo dottore.
Non
direi mezzo. Nel
2001 sono stato insignito della laurea honoris causa in Farmacia
dall’Università di Ferrara, mentre l’anno scorso ho
ricevuto la laurea magistrale honoris causa in Medicina e Chirurgia.
Quindi mi guardo bene dal diventare medico vero, perché bisognerebbe fare
l’esame di stato, poi io non credo di avere certe competenze per farlo. Però
sono molto orgoglioso e ringrazio sempre l’ università di Ferrara e
l’università di Bari che hanno pensato di darmi queste due lauree honoris
causa. Quando le nomino, mi commuovo e sono motivo di orgoglio.
Quali
sono gli ingredienti di un buon programma televisivo?
La
serietà tecnica prima di tutto. Il regista, l’allestitore e comunque il
produttore o chiunque sia l’autore di questo programma, deve conoscere il
mezzo e purtroppo questo ormai non c’è più. Non dico che tutti debbono
essere Vincenzo Trapani o Antonello Falqui, però l’allestimento e la regia di
un programma televisivo sono fondamentali per fare un buon prodotto. Io ho fatto
il regista per tanti anni in radio e in televisione e conosco il mestiere, so
che cosa faccio quando sto davanti alle telecamere, ma purtroppo non è sempre
così. Ma penso che un incoraggiamento ai giovani che vogliono iniziare questo
lavoro, vada in questa direzione. Bisogna conoscere il mezzo. Non sto parlando
dei fanatici delle tecnologie moderne, io parlo di semiosi televisive, cioé
dello studio e amore per l’immagine. Bisogna raccontare con le immagini, oltre
che con i suoni. Io vengo dal teatro e dalla radio e anche dal cinema, non come
regista, non mi è mai capitato e non ho mai avuto questa fortuna. Ho girato
molto documentari e ho fatto tantissima regia televisiva. Quello conta, saper
gestire e raccontare con le immagini oltre che con le persone che in quelle immagini
sono i protagonisti delle storie. Questo è fondamentale e soprattutto avere
rispetto per il pubblico, che onestamente devo dire non c’è più.
Qual
è il segreto del suo successo?
Grazie
per aver detto che ho successo (risata). Forse la preparazione, da quello che mi
dicono i miei amici e dalle motivazioni degli innumerevoli premi culturali che
ho ricevuto. Infatti si capisce che io ho studiato, ho studiato tutto, la
preparazione umanistica, ecc … Si capisce che continuo a studiare e che quindi
ho un rispetto sacro per il pubblico. Al pubblico bisogna presentarsi in
cravatta, non puoi un “pecione”.
Altro è l’avanspettacolo, il varietà, ma se tu fai un programma che entra
nelle case con l’informazione, con la cultura, diciamo con dei “saperi”,
devi rispettare lo spettatore. Le
persone mi portano il rispetto affettuoso che io riscontro anche se faccio la
fila al supermercato, che in questi tempi non è difficile farla. Oppure in
treno, in aereo o se mi fermo in un ristorante. Riconoscono in me, forse, quella
mia tenace e infaticabile opera di rispetto per il pubblico, per le persone e
quindi a lui dedico l’italiano che voglio che sia impeccabile e spero di
riuscirci per quanto io mi illuda. Il concetto deve essere chiaro, la dizione
deve essere buona. Detesto i vernacolieri, i dialettologi e quelli che pensano
che l’Italia si divide in romanesco, napoletano e milanese. Non è così.
Bisogna parlare in italiano impeccabile perché bisogna portare rispetto al
pubblico e poi bisogna sapere dove andare a parare quando andiamo a discutere,
perché se tu vai a vanvera, sei un qualsiasi “arruffa popoli”, non sei un
conduttore. Io ho rispetto per le persone, sia quando sono popolo e anche quando
le persone diventano pubblico, perché il pubblico, e l’ho imparato a teatro,
sta lì e ha scelto di seguire te e quindi gli devi portare rispetto.
Parliamo
un po’ di Roma. Quando ha lasciato la Puglia per venire nella città eterna?
Sono
arrivato a Roma che ero bambino. Ricordo che abitavo nel quartiere Flaminio, in
via Guido Reni, quindi in una zona molto bella di Roma, adiacente al famoso
ponte Milvio e a ponte Flaminio. A quei tempi cominciavano a costruire lo stadio
Olimpico, che allora si chiamava dei “100 mila”, con un’enfasi retorica
piuttosto goffa. Per fortuna che poi l’hanno chiamato stadio Olimpico. Da
ragazzo andavo a scuola al Col di Lana, poi al Mamiani e io ho sempre amato
questa città, moltissimo. Non ci sono classifiche per gli amori. Però la
singolarità della fascinazione di questa città mi ha sempre sedotto. L’avevo
studiata fin dalle scuole elementari e per me era abitare nella storia, non è
stata una fortuna da poco. Tutti abitiamo nella storia in Italia, da Pavia a
Catanzaro, dalla val d’Aosta meravigliosa al mio indimenticabile Alto Adige,
da Venezia a Catania. Ma Roma non è solamente storia, diciamo così, nel senso
esistenziale del termine, ma è storia anche come cultura, perché tutto quello
che doveva accadere in questo paese, è accaduto qua, è partito tutto da qui.
Non
ha più lasciato Roma?
Sono
rientrato per un periodo a vivere a Bari, perché mio papà era un ufficiale
dell’esercito e quindi ho dovuto seguire lui e la mamma, che era professoressa
di Lettere. Poi mi sono laureato il Lettere e Filosofia a Bari, ma la mia idea
era di tornare a vivere a Roma.
C’è
un angolo di Roma a cui lei è
particolarmente legato?
Il
quartiere Prati e via Asiago.
Immagino
per via del lavoro in radio, per la Rai …
Si,
perché lì il mio sogno si è concretizzato, quando vinsi la borsa di studio
per lavorare alla radio. Tutta la zona Prati che va da via Asiago verso viale
Mazzini, dove per altro io andavo alle scuole medie al Col di Lana, appunto in
via Col di Lana, angolo viale Mazzini. Quella è la zona di Roma a cui sono più
affezionato. Pur non disdegnando la vecchia Roma dove io da attore, da regista
ho cominciato ad andare nelle pensioncine dietro Sant’Andrea della Valle e di
tutta la zona di campo de’ Fiori.
La
vecchia Roma …
La
vecchia e cara Roma l’ho amata moltissimo. Io ho abitato in un albergo molto
carino che si chiamava “Smeraldo”, il nome mi piaceva e stava in via dei
Chiavari, dove c’erano tutti i fabbri che facevano un tempo le chiavi. Quella
è un’altra zona di Roma a cui ero affezionatissimo.
Cosa
le da fastidio di Roma?
Gli
snob di Roma nord, i maleducati di Roma nord che parcheggiano in doppia fila
come virtuosismo della ineleganza e della trasgressione. Quello mi da noia. E
guarda un po’, poi sono quelli che non centrano per niente con Roma antica,
con la Roma classica. Sono estranei alla civiltà, quella del popolo vero
romano, quello verace. Questa borghesia con i loro SUV, che il giovedì sera già
parte per il weekend che dura fino a martedì pomeriggio, questa gente qua non
mi piace. Anche i posti dove abitano non mi piacciono, come non mi piace il
fatto che hanno trasformato delle zone meravigliose della Roma nord in ghetti di
lusso e di arroganza. Li rispetto e
voglio essere rispettato anch’io, però il teorico del parcheggiare in doppia
fila, per me è un maleducato.
La
cucina romana, le piace?
Buona.
Ottima e abbondante. Mi piace tutto, la matriciana, la gricia, la carbonara e
poi i carciofi sono spettacolari. Quella romana, insieme a quella pugliese, è
la cucina che io prediligo.
Un
paio di consigli alla sindaca Virginia Raggi?
Non
mi viene in mente niente, perché mi fa cadere le braccia raccomandare qualcosa
ad un sindaco. Forse di avere pazienza e di mettersi al servizio dei cittadini,
come ha tentato di fare finora. Ho notato che molte buche sono state chiuse, ma
ci sono voluti quattro anni. E’ un po’ troppo. Non ho consigli che non
diventino stucchevoli. Sinceramente questo non è stato un grande momento per
mettersi a fare il sindaco. Diciamo che ho visto sindaci migliori.
Cosa
le manca di Roma quando è via dalla città?
La
duttilità delle prestazioni di una città come Roma. Alla fine riesci ad avere
tutto e a fare tutto. La burocrazia italiana è una delle piaghe del pianeta,
non soltanto dell’Italia e qui a Roma riesci a districarti e capisci che c’è
un cosmopolitismo positivo, che aiuta e il fatto che Roma poi è generosa.
Questa è una grande dote.